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“Un tatuaggio è già lì, sotto la pelle, l’inchiostro serve solo a portare alla luce quello che hai dentro.”
Ci si tatua per esprimere qualcosa: sentirsi più belli, apparire più forti, più ribelli, per dare sfogo a un dolore, un lutto, incidere una gioia, un amore, per scongiurare una paura, per un senso di appartenenza o semplicemente per rivendicare il proprio diritto al gioco.
“I tatuaggi non vanno mai spiegati!” qualcuno potrebbe obiettare, ma “Mai” è una parola impegnativa per qualsiasi bocca.
Perché raccontare una cosa così personale?
Perché il tatuaggio è anche comunicazione, connessione e condivisione fin dalla sua nascita. La sua cultura è sopravvissuta grazie alla tradizione orale, per quanto fosse proibito da alcune istituzioni, viveva nei racconti e nel passa parola di chi frequentava l’ambiente.
In passato il tatuaggio vero e proprio era sempre legato ad alcune emozioni, una storia, un simbolo, un viaggio, un ricordo.
Anche quelli decorativi o eseguiti per moda avevano dei perché o degli aneddoti, altri ancora nascevano con una funzione precisa e rispettavano regole ben definite. Nulla era lasciato al caso, come per esempio la scelta di alcuni disegni e il loro corretto posizionamento in base alla struttura anatomica del corpo da tatuare. Tutti avevano un significato e di conseguenza la loro piccola grande storia.
Un vecchio detto dice che non si ha una vita senza un racconto.
E se vi chiedessi di raccontare un vostro tatuaggio ?
Non sempre è facile parlare della propria storia, spesso i tatuaggi ci permettono proprio questo: riassumere alcune pagine della nostra vita senza usare le parole. Sono gli stessi che ci fanno rivedere momenti bellissimi e pensare a quegli attimi di felicità con una sana malinconia. Ci collegano ad un luogo, una città che ci ha visti crescere o ci ha colpito in un viaggio. Evocano una persona, magari la stessa che ha disegnato qualcosa di indelebile sulla nostra pelle. Altri affrontano ricordi che forse ci hanno segnato come cicatrici e celano parole pesanti da scrivere.
Inevitabilmente ogni tatuaggio ha la sua storia unica; non esiste e non può esistere un racconto uguale ad un altro come non esiste un tatuaggio migliore di un altro. Potremmo commentare la struttura, il soggetto o la mano che lo ha eseguito, ma i tatuaggi rimangono personali, spesso eseguiti soltanto per sé stessi e sulla base di incalcolabili motivazioni.
Condividere nei limiti del buon senso queste storie sulla pelle, anche in forma anonima, documenta le infinite sfumature dell’umanità.
Non parlarne sarebbe come avere un gran fuoco nella propria anima e nessuno che si avvicini per scaldarsi, perché i passanti distratti vedono solo dall’esterno il fumo che sale fuori del camino e poi se ne vanno per la loro strada. Scrivere di umanità e diffondere sana cultura del tatuaggio ci permette di non fermarci al fumo, cadendo nell’inganno dell’apparenza. È proprio quando crediamo di conoscere qualcosa che dobbiamo cominciare a guardarla da un’altra prospettiva.
Proprio come riempiamo la pelle di inchiostro, con la nostra piccola storia aggiungeremo un altro racconto di vita nel mondo.
Fate quindi venire alla luce la storia intrinseca dal tatuaggio stesso. Non vi sentirete giudicati, soltanto ascoltati.
Grazie a tutti quelli che ci permetteranno di leggere il proprio corpo raccontandoci un loro tatuaggio.