Storie sulla pelle: Gippi Rondinella
Intervista a Gippi Rondinella
Questo articolo parlerà di un impertinente Artista classe 1949 nonché grande Maestro, in Arte Gippi Rondinella.
La prima frase è naturalmente una provocazione, perché mi diverte immaginare la reazione del Gippi leggendo questa descrizione.
Immagino sicuramente una smorfia irritata, con probabile insulto a seguito e tutto questo solo con la prima frase del suo articolo.
Inoltre caro Gippi se creiamo un acronimo con le tre parole in maiuscolo della prima frase, noterai che riassumono il tuo approccio al tatuaggio moderno. Erano Artista, Maestro e Arte da cui viene fuori la sigla a.m.a. però, direi che lasciamo la società romana di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti nel posto che merita.
Ora credo che Gippi sorriderebbe, continuando comunque a insultarmi in maniera amichevole.
Tornando seri, Gippi Rondinella non è un nome d’arte, confermo annata 1949 e che è impertinente. In realtà a mio parere è solo diretto e senza filtri nel dire alcune realtà scomode, ma veritiere, sull’evoluzione del mestiere di tatuatore. Nella sua visione, comunque non diversa da altri colleghi e non necessariamente coetanei, il tatuatore non è un artista ma un artigiano. La sua stessa storia lo dimostra. Possiamo anche dire che non sarebbe Gippi Rondinella se il suo pensiero fosse sempre allineato alla visione generale.
Dovete sapere che questo cervello ribelle ha già vissuto in passato contro alcuni dei canoni imposti dalla società e di certo non inizierà ora a uniformarsi a quello che legge regolarmente sui giornali o a credere nelle opinioni comuni. Questo vale sia per la cultura generale che per il mondo dal tatuaggio. A dirla tutta per quest’ultimo argomento, almeno in parte, ha un giudizio negativo. Emerge chiaramente un certo distacco che è non dovuto solo all’età anagrafica o lavorativa, ma è il frutto di una scelta. Una scelta dettata dagli sviluppi concettuali e burocratici che ha subito il settore tattoo in questi ultimi anni.
Per fortuna nulla a questo mondo è mai definitivo, quindi anche se nella sua carriera Gippi Rondinella ha ufficialmente deposto la macchinetta più volte, nella realtà non ha mai abbandonato completamente questo mondo. Senza dubbio rimane un filo di amarezza per certe situazioni ma il tatuaggio è ancora molto presente nel suo quotidiano, oltre al fatto che farà per sempre parte del suo viaggio. Questa non è una frase fatta, infatti questo vecchietto (mi starà odiando) nonostante i suoi 73 anni, quando può e a chi vuole tatua ancora.
Questo lo so per certo, grazie anche ad una bellissima storia recente accennata da Gippi durante la nostra chiacchierata.
La storia vede protagonisti: una ragazza, un gabbiano stilizzato tatuato sul suo polso e un disegno di 40 anni fa.
Ora non posso aggiungere altro, ma spero un giorno di potervi raccontare la storia completa di questo tatuaggio quando l’avrò sentita direttamente dalla ragazza in questione. Sarebbe per me un onore custodire un ricordo così delicato e fermarlo, grazie al mio piccolo archivio digitale, nella memoria del tempo.
Cosa ci sarà mai da raccontare su un tatuaggio che al massimo sembra una lettera “V”?
Al momento posso solo dirvi che quando ti ritrovi difronte a tatuaggi il cui peso, la loro anima, non è tanto nel disegno in sè ma in tutto quello che c’è dentro puoi concludere una sola cosa: per alcune storie la tendenza alla poesia è semplicemente imposta.
Tornando al nostro intervistato: Dove tatua il signor Rondinella? Da buon girovago lavora in giro per il mondo appoggiandosi negli studi dei suoi amici. Tatua inoltre nelle Convention anche se ultimamente si è un po’ stancato di fare il “santino” a questi eventi e in ultimo, quando si ricorda di tornare in Italia, tatua anche nel nostro paese.
Da questi paragrafi emerge una prima sfumatura che ci aiuta a farci un idea di questo tatuatore.
Il Gippi scorbutico e rompiscatole che non ne vuole più saperne del tatuaggio nella realtà è un tenero nostalgico dei tatuaggi che raccontano ancora la propria storia individuale. Esatto, quelli “noiosi” che ricordano un emozione, un amore, una gioia, un dolore o delle persone. I capolavori artistici di dermo illustrazione, come la chiama lui, sono senza dubbio tecnicamente eccezionali e di forte impatto estetico ma nella sua ottica rischiano di allontanarci da quel tatuaggio che racconta l’uomo e il suo essere.
Quando i simboli perdono il significato descrittivo, svanisce anche la loro forza espressiva e comunicativa.
Questo linguaggio disegnato sulla pelle può essere paragonato a un dialetto che non viene preservato. Nel tempo non solo muterà parte della sua forma ma perderà, non essendoci più delle persone in grado di spiegare quelle parole, tantissimi vocaboli. Quindi stili come il total black, l’effetto pennellato, il water color, il trash polka giusto per fare qualche esempio, nella sua visione restano macchie di colore che nel tempo perdono di espressività. Naturalmente rimane un opinione personale, ma è pur sempre il pensiero di un tatuatore che ha lavorato sulla pelle per 40 anni. Sarebbe poi errato concludere che sia un concetto comune solo ai tatuatori della vecchia guardia.
In questo caso specifico Gippi Rondinella essendo un cittadino del mondo, ha viaggiato per anni e visto con i suoi occhi le tante realtà degli studi di tatuaggi italiani ed internazionali, passati e moderni, che tra l’altro frequenta a tutt’ora. Ha viaggiato sempre con un ottica di scoperta del mondo e senza pregiudizi, che non si significa non fare attenzione. Significa piuttosto lasciare nel cassetto discorsi di geo-politica e visioni nazionalistiche errate. Questa sua visione globale conferma che è consapevole del melting-pot nella nostra società moderna, sia a livello sociale che nel settore del tatuaggio.
Nel mese di marzo era ospite in uno degli studi dove si appoggia quando è in Italia, ovvero al Roma Tattoo Museum
dove abbiamo anche svolto l’intervista. Gippi mi ha anche fatto da guida personale raccontandomi che questo museo è nato da un’iniziativa privata principalmente per passione e con la volontà di restituire un anima al tatuaggio. Quale anima? Quella venduta troppo spesso al miglior offerente soprattutto in questo settore. Il posto è suggestivo di suo grazie alla collezione privata di Antonello Cuomo detto Kubo (altro tatuatore nella mia lista).
Piccola parentesi: Nel caso non abbiate ancora visitato questo museo, cosa state aspettando?
Prendetevi un ora del vostro tempo per andate a vedere di persona questa raccolta di oggetti, libri, tavole e fotografie sul mondo del tatuaggio generosamente messa a disposizione di tutti. La collezione del Roma Tattoo Museum la trovate nel quartiere Parioli, precisamente nella zona della stazione e della fontana dell’acqua acetosa in un’ala di un palazzo storico del 1800. All’interno del museo è possibile anche tatuarsi infatti ci con due postazioni attrezzate a dovere. Immaginate quindi uno studio di tatuaggi immerso nello sfondo del museo sopra descritto e poi fate voi la somma. Probabilmente è un posto unico sia in Italia che in tutta Roma.
Nella galleria qui sotto comunque trovate qualche foto, giusto per i non credenti.
Proseguendo su Gippi e chi sia questo “zingaro” tagliamo subito la testa al toro dicendo che, se a Milano il Fercioni fu il primo ad aprire uno studio di tatuaggi in Italia tra gli anni 70-80, a Roma il primo pioniere nel settore è lui. Ufficialmente apre il suo studio di tatuaggi nel 1986 ma l’esperienza con l’inchiostro sotto pelle inizia molto prima. Il racconto di Gippi inizia dalla sua famiglia con un ricordo legato all’infanzia. Il suo primo approccio con il tatuaggio avviene grazie al nonno materno di presunte origini sinti. Questo nonno, insieme ai suoi fratelli, lavorava inizialmente nel circo Carenza (attività di famiglia) e per l’epoca non era di aspetto ordinario. Portava gli orecchini su entrambi i lobi ed era tatuato, sostanzialmente come appare Gippi oggi ma con una differenza temporale di 100 e rotti anni. Infatti stiamo parlando dei primi anni del 900, dove di certo non era così scontato vedere persone tatuate al di fuori di certi ambienti come per esempio quello delle compagnie di spettacolo itinerante. Questo suo nonno nel tempo si era poi accasato, lasciando il lavoro da equilibrista nel circo e stabilendosi definitivamente a Roma dove faceva il commerciante in diversi settori.
Gippi inizia a raccontare: “Io ricordo che verso la fine della sua carriera lavorativa per esempio commerciava nel settore del bestiame e con i cavalli. Ecco questo mio nonno aveva sulle braccia (e nel mentre si accarezza gli avambracci) dei disegni. Erano grezzi, semplici e blu di cui tra l’altro non ricordo nemmeno bene i soggetti, ma nell’io bambino mi colpirono.
Crescendo conobbi poi un altro parente, tatuato sempre sulle braccia, ed anche lui era un personaggio particolare. Io lo chiamavo zio ma in realtà era un mio cugino di secondo grado molto più grande di me. Lui era un altro girovago ma di tutt’altro ambiente. Infatti mio nonno in gioventù, lavorando nel circo, girava con questa compagnia. Mio cugino invece da giovane era stato nella legione straniera oltre a vivere poi parte della sua vita in Australia facendo il cacciatore di coccodrilli. Tu immagina che storie poteva aver vissuto. Nel suo caso ricordo qualche tatuaggio, c’era un’aquila per esempio e una scritta: “Morte prima del disonore”.
Prima di proseguire apro una parentesi generale: Per capire alcuni tatuaggi bisogna sempre ricordare il periodo storico in cui vivevano queste persone. La gente cresciuta tra il 1910 e 1950 aveva visto due grandi guerre mondiali per davvero e non per finta. Dico questo perché ancora oggi, a volte, si tendono a copiare ed esibire senza troppi problemi alcuni marchi, scritte che sono fuori luogo e aggiungo senza etica. Alcune cose non bisognerebbe nemmeno pensarle. Un tempo era pericoloso portare i marchi dei legionari e di altri ambienti militari solo per estetica o per sentirsi dei duri. Questo discorso vale per estensione anche sui disegni del tatuaggio criminale e non solo a livello nazionale. Pensiamo ad alcuni simboli specifici dei criminali russi, di certo non ci azzeccano molto con chi non ha vissuto quelle storie. In passato potevano creare problemi, incomprensioni, con il rischio concreto di mettere a repentaglio la propria libertà, la sicurezza personale se non addirittura la vita stessa. Farsi una cultura e informarsi per quanto possibile su certi argomenti è fondamentale. Questo non mi stancherò mai di dirlo. Il discorso vale anche oltre l’ambiente militare, criminale e politico.
Ci sono stati anni per esempio dove era di moda il tatuaggio tribale come il maori. Loro, che noi chiamiamo neo zelandesi ma è una definizione coloniale, in quanto nativi di quelle isole faticano a vedere i simboli della loro tradizione sugli stranieri. Soprattutto il moko, quello facciale. Sostanzialmente perché sono tatuaggi delicati, che rappresentavano la storia, lo stato sociale e le origini delle loro tribù. Un biglietto da visita scritto su pelle.
Mi spiegarono che alcuni di solito coprivano la loro testa calva e tatuata con un cappello, in quanto la parte alta del corpo poteva vederla solo il cielo che per loro è una divinità. Se dovevano prendere un aereo ad esempio, durante i controlli al check-in non potendo tenere il cappello per motivi di sicurezza, mettevano del cerone sulla testa. Questo è solo un esempio per indicare che la conoscenza, come anche il rispetto verso alcune culture, dovrebbe essere tassativa nel mondo del tatuaggio e con questo chiudo la parentesi.
Tornando alla mia storia, i tatuaggi di mio nonno e di mio cugino furono sostanzialmente i primi segni di colore sulla pelle che vidi. Diciamo mi aprirono un prima porta sul mondo del tatuaggio, ma in quegli anni dove ero un ragazzo, restava solo una curiosità. A 20 anni avevo in testa altro, devi sapere che ero un hippie convinto e grazie ad una mia nonna benestante riuscii a permettermi i primi viaggi in giro per il mondo. Sono stato in India, dove tra l’altro tatuai per la prima volta ribattendo a mano un piccolo tatuaggio di una mia amica americana. A Katmandu, in Nepal, invece mi feci io il mio primo tatuaggio.
Un sole stilizzato fatto con una moneta, una rupia per la precisione, con la quale eseguirono la sfera e qualche linea intorno a mo di raggi. Andai anche in America dove questo sole tatuato in Nepal venne poi colorato da Mike Malone, che ora non c’è più. Ricordo ancora questo suo appartamento a Manhattan dove mi tatuò in maniera così privata perché in quegli anni era illegale tatuare a New York. Attraversai inoltre diverse zone dell’Asia, come il Vietnam, il Giappone giusto per citarne alcune. Arriviamo così al 1973, l’anno del mio rientro in Italia. In quel momento mi trovavo in Afghanistan che era un paese bellissimo.”
F: “Come bellissimo?”
Gippi racconta: “Tu sei giovane e hai conosciuto solo la parte brutta dell’Afghanistan distrutta negli anni dai vari governi fantocci, sostenuti a fasi alterne sia dall’unione sovietica che dagli americani, durante il periodo della guerra fredda. Senza parlare dello schifo interno dovuto agli estremisti religiosi che di religioso hanno poco. I fondamentalisti sono radicali solo nei confronti dell’oppio e delle armi. Queste rimangono pagine tristi sia per quel luogo che per l’umanità, ma ci furono anche pagine felici per il paese. Ci fu un tempo e io lo vidi con i miei occhi, stiamo parlando tra gli anni 60 e 70, dove alcuni monarchi portarono il paese verso una visione moderna. Puntarono sullo sviluppo dell’industria e dell’istruzione e durante il regno di questo Re e poi successivamente suo figlio, l’Afghanistan visse uno dei periodi più lunghi di stabilità politica.
Restarono in quel periodo anche neutrali, staccandosi dai vari blocchi di potere durante la guerra fredda e questo portò pace.
Io lo ricordo quel paese con libere elezioni, diritti civili, emancipazione per le donne, suffragio universale e riforme sempre meno tribali. Vidi di persona le ragazze, belle come il sole, in minigonna nelle università locali. Città piene di turisti e viaggiatori come me, che passavano interi mesi in quelle zone fino al 1973. Cadde questa monarchia democratica ed espulsero gli stranieri. Io ero tra quelle persone costrette a lasciare un paese che non sarebbe più stato libero. Nel breve infatti ricadde di nuovo in mano a governi filo russi, filo americani ed oggi invece è tristemente in mano ai talebani. La fotografia attuale con guerre civili, ingiustizie e diritti assenti soprattutto per le donne che non possono più andare a scuola o mostrarsi in pubblico mi fa sempre male. Negli anni successivi ogni volta che ho potuto, anche grazie al mio lavoro di tatuatore che mi permetteva di guadagnare bene, ho cercato di non dimenticare quella terra facendo volontariato o mandando aiuti.”
Il racconto di Gippi di un Afghanistan libero mi mette ancora i brividi.
Sono convinto che Gippi ricorderà ancora il mio stupore durante questa parte d’intervista non convenzionale.
Il Rondinella riprende: “A fronte di queste tensioni politiche io torno in Italia nel 1973 e mia sorella compilò a mio nome la domanda per Alitalia come assistente di volo. Cercavano in quel periodo steward e hostess e mi presero. A me andava bene, mi piaceva lavorare e poter viaggiare allo stesso tempo. Nei miei viaggi oltre a collezionare diversi tatuaggi e le prime conoscenze nel settore, mi ero anche comprato un po’ di attrezzatura. Le prime macchinette diciamo semi professionali le comprai in India e a Malta.
Malta fu importantissima, perché conobbi un vecchio tatuatore che stava chiudendo la sua attività e da lui comprai ad un prezzo veramente basso praticamente tutto. Macchinette, colori e un album bellissimo pieno di flash che tra l’altro è ancora nel mio vecchio studio da Gabriele.
Non smetterò mai di ringraziare Charlie, devo a lui anche i primi contatti dei rivenditori di macchinette e colori professionali.
Sostanzialmente era un contatto a Londra. Un rivenditore di attrezzatura che riforniva anche lo storico studio di Burchett Georges conosciuto come Davis. Un istituzione nel settore, iniziò a tatuare giovanissimo a Brighton, continuò nella Royal Navy e infine aprì il suo studio a Londra agli inizi del 900. Era uno studio famoso che non faceva distinzioni, tatuava sia i ricchi dell’aristocrazia che i poveri dei bassifondi. Io senza saperlo in quello studio a Londra ci ero già stato anni prima a fare il mio primo tatuaggio professionale presso un vero tattoo studio. Non dal fondatore perché Davis era morto negli anni 50, ma dal figlio Lesley che mi tatuò una farfalla sul braccio.
Erano tempi senza internet e non era così semplice trovare i ferri del mestiere, comunque io grazie ai miei viaggi e questi contatti nel tempo ero riuscito ad attrezzarmi quanto bastava. Attrezzatura che ovviamente cominciai a usare su conoscenti, amici e qualche primo lavoretto. Mettevo a posto dei tatuaggi inizialmente, quando stavo a Roma frequentavo un bar vineria vicino Campo de’ Fiori, dove si svolgeva il mercato. Era una zona malfamata all’epoca. La voce che tatuavo con il tempo si diffuse e una volta mentre ero in questo bar un signore, che come mestiere faceva il pittore spesso a Regina Coeli, mi avvicinò. Questo imbianchino aveva visto in carcere qualche detenuto tatuato e non aveva mica provato a tatuarsi da solo usando un ago da cucito e la pittura per pareti al posto dell’inchiostro. In poche parole si era rovinato un braccio e mi chiese di sistemarglielo. Quando venne a casa mia vide per la prima volta gli attrezzi veri del mestiere e l’inchiostro per tatuaggi.
Questo è un caso estremo, ma ti può far capire il livello di conoscenza su questo mondo negli anni 70-80 in Italia.
In generale, rispetto all’Europa non sapevamo nulla. L’unica cultura presente sui tatuaggi era veramente in carcere, piena di simboli che seguivano certe regole e avevano una determinata simbologia, anche se esclusivamente legati al mondo criminale. Certo il livello di esecuzione era quello che era, in quei posti non c’era nessuna attrezzatura per tatuare. Si arrangiava tutto, ma per quanto rudimentali avevano la loro storia e un loro fascino. Fascino che però non metteva in buona luce il tatuaggio. In quegli anni, tra pregiudizio e ignoranza, tatuarsi era ritenuto roba per criminali, drogati ed emarginati. Questo per nostra fortuna non era un pensiero assoluto, cominciavano ad venir fuori i primi appassionati e le persone con una sana curiosità. Le persone di ogni classe sociale cominciavano a segnarsi non partendo certamente da mani e collo. C’era molto riservo all’inizio, era una una cosa più discreta.”
F: “Gippi ma è vera quella storia del richiamo di Alitalia perché risultavi indecente a motivo dei tatuaggi?”
“Certo, nel 1978 cambiarono le divise ufficiali, semplicemente le camicie diventarono a maniche corte. Un mio collega era molto infastidito dai miei tatuaggi e credo siano state le sue lamentele ad alzare la polvere. Un bel giorno infatti mi arrivò una segnalazione scritta dall’ufficio del personale dove, riassumendo, diceva che ero disdicevole per il buon nome della compagnia.
Naturalmente me sono fregato. Ero stato assunto con i tatuaggi ed erano anche indicati nella scheda della mia visita medica.
L’etichetta del corpo pulito in certi ambienti lavorativi era molto sentita.
Tornando ad Alitalia, dopo qualche anno non rientrò più nei miei piani. Mi spostai sull’oceano iniziando un attività alle Maldive. Sostanzialmente comprai una barca e facevo escursioni con i turisti, ma quella strada non durò molto e decisi di tornare a casa in Italia. Era sempre vicino al mare a Fregene. In quel periodo avevo in corso un finanziamento con la banca legato alla mia precedente attività. Nei mesi successivi, mentre decidevo la direzione da prendere per il futuro, tatuavo a casa mia con una buona costanza. La frequenza diventò tale da essere un lavoro ormai, uno di quelli che ti fanno pagare anche i prestiti con la banca. Così ho iniziato ufficialmente l’attività di tatuatore a Fregene, dove definirlo studio è eccessivo, diciamo in una stanza della mia abitazione attrezzata però con tutto il necessario. Il mio primo vero studio di tatuaggi è quello che aprii nel 1986 in centro a Roma, per l’esattezza sempre in zona Campo de’ Fiori. Il Tattooing Demon Studio era anche il primo nella capitale, attività che dopo diversi anni lasciai poi a Gabriele.”
F: “Che anno era?”
GR: “Stiamo parlando dell’anno 2000, quando iniziarono questi corsi a tappeto indipendentemente se avevi già licenza o meno. Secondo te potevo essere d’accordo? Comunque smisi di lavorare in studio se non saltuariamente. Nell’anno dopo l’11 settembre 2001 ci fu l’attentato alle Torri Gemelle e in Afghanistan le cose andarono sempre peggio. Come sai, a quella terra, io ci sono un po’ legato. Qualche tempo dopo tornai a Kabul e venni a sapere che alcuni miei amici del 1º Reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania” erano nella città in missione. Una sera ci organizzammo per trovarci e la prima domanda dopo i saluti fu se avevo portato con me la macchinetta. Puoi immaginare come è andata a finire, ne tatuai diversi.”
Raccontare interamente Gippi Rondinella dopo due ore di intervista è impossibile, non è neanche facile scrivere queste storie di vita per quanto bello sia. Spero di averlo fatto con il massimo rispetto, andando anche oltre l’inchiostro nel farvi conoscere meglio questo tatuatore. Tatuatore rimane un termine riduttivo per descrivere una persona. Noi non siamo solo il nostro lavoro. Gippi il girovago, per quello che ho visto io, è una persona indipendente legata molto alle cose concrete e meno a quelle materiali. Una persona empatica con una mente ancora pensante, piena di ricordi e di amicizie, naturalmente non solo tra i colleghi tatuatori. A breve partirà per un altro viaggio, forse in Vietnam dalla moglie e per una durata non definita. Si dice che chi viaggia vive due volte, per tanto Gippi buon viaggio e spero di ritrovarci quando tornerai in Italia.
Ora direi di goderci la sua storia sulla pelle.
Storia sulla pelle di Gippi Rondinella
“Nei miei viaggi ho visitato spesso il Giappone. Quando ero la andavo a trovare il mio amico Horiyoshi III.”
(Ragazzi due leggende nello stesso posto, seguirà anche un articolo per questo sconosciuto giapponese).
“Io ho due suoi tatuaggi tra l’altro non ancora finiti.”
Gippi toglie il maglione e su avambraccio, tra i vari tatuaggi, è presente anche una carpa koi.
“Questa carpa l’avevamo iniziata nel suo studio in un mio viaggio in Giappone senza però finire il colore. Visto che in quel periodo della mia vita il Giappone era una tappa frequente, lo usavo come scalo per andare in Australia, non era un problema tornare da Horiyoshi a finire il tatuaggio. Qualche tempo dopo ci sentimmo telefonicamente e lo avvisai che nel breve sarei passato sicuramente a salutarlo. Definita la giornata in cui trovarci, decidiamo di sfruttare l’occasione anche per finire questa carpa. Arriva questo giorno, io sono in Giappone ed è tutto pronto per andare in studio da Horiyoshi. Ma in studio non ci andai, quella mattina venni contattato urgentemente dalla polizia di frontiera dell’aeroporto. Senza troppe spiegazioni dovevo presentarmi lì il prima possibile. Chiamo subito Horiyoshi, gli spiego la situazione e annulliamo tutto. Lo studio era distante dall’aeroporto e soprattutto non sapevo nemmeno quanto tempo mi avrebbe impegnato la cosa.”
F:”Gippi cosa hai combinato?”
GR: “Io niente ma quella … (parola che inizia con la lettera C e finisce con la A) della mia morosa mi stava raggiungendo in Giappone e non viene mica beccata con due etti di fumo nelle scarpe. Tu immagina la situazione. Io che arrivo là senza sapere nulla, mi controllano i documenti, mi perquisiscono, mi portano al parlatorio della piccola prigione dell’aeroporto e dall’altra parte del vetro mi ritrovo Katie Cherry disperata in lacrime che mi chiama. Una scena da film. Questa Katie era la mia morosa dell’epoca, australiana e in viaggio con due sue amiche che poi con calma mi spiegarono tutta la situazione. Il casino era inevitabile, avvisai subito la famiglia, avvocati, anche se tutto comunque era più lento perché eravamo in un paese paese straniero e Katie venne anche trasferita in prigione. Furono mesi pesanti, ma poi si mise tutto a posto. Tanto tempo dopo riuscii a tornare da Horiyoshi per salutarlo e in teoria finire la carpa. Naturalmente gli spiegai il motivo dei miei mesi di ritardo e tutta la situazione con la mia morosa, ed ecco che Katie Cherry è finita sul mio braccio. (Gippi mi mostra l’altro avambraccio)
Eccola qui Katie disegnata da Horiyoshi. Queste donne sono tremende, ma muovono i fili delle emozioni e come muse ispirano anche i tatuaggi da sempre. Mi raccomando Francesco non si tatuano i nomi, se no fai la fine di quel disegno appeso alla parete lassù.
(La grafica in questione andate a vederla di persona al museo).
Quel giorno, in studio, proprio sul momento pensammo a questa composizione. Una Geisha con una serpe tatuata sul seno che rappresentava palesemente lei. Io stesso tatuai una serpe sul seno di Katie durante la nostra relazione. I fiori di ciliegio perché il suo nome completo era Katie Cherry e queste nuvole ad indicare quell’episodio poco sereno, turbolento. Alla fine nonostante quell’evento la ricordo con piacere e la porto addosso volenteri. Come vedi non riuscimmo a finirlo in una seduta, ma a me piace così com’è.
Forse questo tatuaggio è giusto che non sia finito e penso che lo lascerò incompiuto tutta la vita come la mia relazione con Katie. Questa è una storia scritta sulla pelle che racchiude tanto, un amore, una donna, un problema risolto, persone e luoghi di paesi diversi tra cui un amico tatuatore. Un pezzo di vita insomma.”
Sul braccio di Gippi, in realtà, ci sono tante storie da leggere. Oltre al sole e la farfalla menzionate nell’articolo come non citare quella rondiella, ormai tra il verde ed il blu, che stringe nel suo becco una pergamena con due date scritte sopra. Un tatuaggio dedicato ai suoi genitori. Le rondini sono anche simboli di famiglia e Gippi, che non è particolarmente legato ad una dimora fissa, lo sa. Lui porta già con se tutte le sue cose care.
Volevo concludere l’articolo senza fare troppi complimenti al Gippi che tanto lo annoierebbero.
Quindi lo saluto con un semplice GRAZIE, che non è mai scontato. Ti mando anche un forte abbraccio.
P.S. Secondo te potevo chiudere solo così? Un ultimo pensiero in controtendenza lo scriviamo dai.
Visto che dobbiamo ammettere che l’apparenza è la protagonista indiscussa del nostro tempo.
In questo tempo di inganno generale, dove sempre meno persone guardano oltre quello che si vede, chiudo con questa tua frase:
“Spero che dopo tutta questa illustrazione qualcuno torni a segnarsi come in passato. Un ricordo, un momento, una gioia, un dolore, una passione e non solo roba modaiola.”


































