Storie sulla pelle: Gian Maurizio Fercioni
Preparazione intervista a Gian Maurizio Fercioni
Erano anni che mi ero ripromesso di andare a visitare il Queequeg Tattoo Studio forse meglio conosciuto come il Fercioni Tattoo Studio & Museo; questa piccola bottega artigiana che in fondo è solo il primo negozio di tatuaggi in Italia dal 1974. Ripeto 1974 quando in Italia non esisteva nemmeno un albo per questo tipo di lavoro e il tatuatore veniva definito da chissà quale funzionario pubblico “disegnatore intradermico”. Dettagli.
Così organizziamo con Olivia e “il marito” di Gian Maurizio, che in realtà è la signora Luisa definita simpaticamente così dal Fercioni stesso, questo incontro in via Mercato 16 a Milano.
Nel tardo pomeriggio di un freddo ma sereno martedì di dicembre arrivo a Brera che per me è e rimane il quartiere più bello di Milano, tra palazzi storici e carattere bohémienne proprio come chi sto andando a intervistare. Passeggiando mi godo quindi il breve tragitto dall’uscita della metro fino al portone del civico numero 16 di via Mercato, dove però non troverete la vetrina dello studio sulla facciata esterna del palazzo. Bisogna entrare dentro il portone scuro che si vede sulla strada e attraversare un corridoio che finisce in una piccola corte interna. Vi troverete poi di fronte a due porte vetrate e quella sulla sinistra è del Fercioni Tattoo Studio.
Comunque tranquilli che su via Mercato di fianco il portone troverete la storica targhetta rossa dello studio. Sull’insegna, oltre al nome dello studio e i contatti, vedrete anche la raffigurazione di un nodo savoia marinaresco. Nel corso della lettura ricordatevi di questo piccolo dettaglio.
Il breve scorcio sul quartiere dove si trova questo storico studio di tatuaggi è doveroso perché GMF classe 1946 nonostante provenga da un’aristocratica famiglia pisana, è meneghino proprio della zona di Brera dove è nato, cresciuto e risiede a tutt’ora.
Comunque il legame con la toscana e il suo mare non si è mai spezzato, esattamente come quel nodo stilizzato sull’insegna.
Intervista : La malattia di Gian Maurizio Fercioni
Ad accogliermi trovo sua figlia Olivia che per ora lasciamo stare e questo vecchietto vestito in maniera elegante ma malaticcio, con i ricordi offuscati e le mani tremolanti. Non è mica vero, questa prima descrizione è un piccolo scherzetto narrativo che divertiva me e i padroni di casa mentre si ridacchiava tra un racconto e l’altro. Perdonateci.
Questo commento iniziale potrebbe al massimo essere una diceria di qualche invidioso grillo parlante che di certo non può competere con un ex pugile come il Fercioni.
Il buon Gian Maurizio è ancora brillante, attento, estroverso, ironico, pieno di ricordi e di vita, oltre che di inchiostro sulla pelle.
Appena sono entrato, giusto per dirvene una, ha notato il mio doppio petto blu che non a caso è un cappotto da marinaio. Naturalmente tra i due l’unico navigatore è lui o se io sono un marinaio, lui è di certo un pirata. Uno degli ultimi pirati come li ha definiti Gabriele Donnini nel suo recente e bellissimo evento a Roma.
Finiti i complimenti per il cappotto iniziamo subito la nostra chiacchierata e mentre ascoltavo alcuni suoi ricordi personali cercavo di delineare la persona di Gian Maurizio Fercioni.
Non potevo limitarmi alle sole argomentazioni legate al mondo del tatuaggio o a commentare alcune persone conosciute, sia nel bene che nel male, durante questo percorso lavorativo. Infondo molte informazioni sul suo conto sono già in circolazione da precedenti articoli e video interviste, ma essere in quel posto circondato da tutte quelle vecchie tavole disegnate e piene di flash, vedere le attrezzature antiche nelle vetrine, i libri, per non parlare delle fotografie appese sui muri; insomma ritrovarmi seduto su quelle poltrone vintage per ascoltare di persona la storie di Fercioni è un esperienza e un ricordo di cui sono grato, oltre che dare un valore aggiunto a quello che sto scrivendo.
Proprio da una fotografia nel suo studio Gian Maurizio Fercioni inizia il suo racconto, precisamente da quella appesa nel piccolo corridoio che collega la stanza con le sedute per tatuarsi a quella adibita a museo. Un piccolo cancello per i cagnolini separa i due ambienti e in alto a destra sulla parete è presente questa gigantografia in bianco e nero di un uomo tatuato. Probabilmente un marinaio o forse un carcerato nella sua cabina o cella, steso su un lettino di ferro che fuma una sigaretta guardando foto di pin up appese sulla testata del letto.
Quelle foto di ragazze come i tatuaggi che porta sulle braccia nella nostra visione gli avranno fatto compagnia, riportandolo con la mente verso una casa o un luogo da cui ora è lontano.
GMF: “Vedi quella foto appesa lì?”
F: “Sì, ed è anche molto bella.”
GMF: “Sì ed oltre a essere bella per me racchiude la vera essenza del tatuaggio e quello che dovrebbe raffigurare.
Questa vita girovaga che racchiude un po’ di avventura, ribellione, dove ti porti dentro e addosso emozioni, fantasie, passioni, dolori e anche quella sana malinconia che viene a trovarti nei momenti di solitudine.
Un po’ come quando sei in barca e hai tutto il tempo per riflettere perché ci sei solo tu e il mare.”
Eccolo che esce subito un argomento di cui volevo e alla fine abbiamo parlato: il mare. Questo Mare che è tante cose ed entra nelle vite delle persone tra cui quella di Gian Maurizio Fercioni. Naturalmente non mi riferisco solo ad ovvi collegamenti con i disegni della trazione marinara che senza dubbio racchiudono sotto pelle simboli e significati antichi con un fascino senza tempo.
Mi riferisco al fatto che il mare e le sue regole non scritte hanno segnato in maniera intrinseca la vita di questo “violento” scenografo milanese. La sua stessa passione per il tatuaggio è nata grazie ad un racconto marinaresco.
Quando era ragazzo GMF ricevette in regalo dal padre il libro “Moby Dick” di Melville. Chi conosce questa storia ricorda che sulla baleniera del capitano Achab era presente un ramponiere polinesiano, di nome Queequeg (guarda caso nome dello studio) dove quest’ultimo viene presentato da Ismaele come un “gigante buono” completamente tatuato, probabilmente anche con il moko maori sul volto, che scappava dalla sua isola nativa in cui il padre era un Re.
Alla storia di questo libro aggiungiamo la passione per il disegno e le frequentazioni estive nel porto di Viareggio, dove sempre il papà di GMF aveva una barca attraccata e i marinai erano spesso tatuati, ed ecco alimentata come il vento in poppa la sua passione per i tatuaggi. Morale a 14 anni, proprio su una barca ormeggiata a Viareggio e grazie alla sua amicizia con il custode detto “fucile”, GMF si fa tatuare per la prima volta.
Tornato a casa, nel vedere che la cosa non generò scalpore il buon GMF proseguì in questa direzione tra l’altro non limitandosi solo a collezionare tatuaggi. Dalla conoscenza si passa alla pratica.
Navigare per mare e viaggiare non era solo un hobby ma diventavano occasioni per frequentare nuovi porti e tatuatori.
Dopo il liceo artistico e il diploma all’Accademia di Brera mentre lavorava come scenografo in giro per i teatri d’opera in Europa, tatuava allo stesso tempo. Iniziò come prima esperienza estera dentro uno studio in Francia con una clientela fatta di legionari, marinai e prostitute. Non erano clienti che provenivano da ambienti facili, inoltre da Marsiglia per un malinteso in un bar porta ancora il souvenir di una coltellata in una gamba. Passò poi ad Amburgo in Germania dal grande Hoffmann di cui ricorda il suo stile semplice e a dirla tutta aggiunge: “vestiva proprio da scaricatore di porto o come un uomo che lavora su un peschereccio, ma questo aspetto rude non incideva sulla sua generosità e professionalità”.
Sentire parlare di Hoffmann da Fercioni non ha prezzo; questo tatuatore tedesco-polacco autodidatta, cresciuto nella Germania nazista e nei campi di lavoro sovietici in un epoca dove i tatuaggi erano vietati e proprio dai lavoratori delle classi sociali più umili e dai prigionieri dei campi ascoltò e raccolse le prime storie scritte sulla pelle. Una volta libero, solo dopo qualche anno e in tarda età iniziò a tatuare e giusto per dirne una nonostante fosse già più che adulto chiese il permesso alla sua famiglia prima di tatuarsi le mani. Poesia e rispetto di altri tempi. – Piccolo appunto per me: Obbligatorio fare un articolo su Herbert e grazie ancora dei tuoi ricordi Gian Maurizio.- A dirla fino in fondo ne ha ricordati parecchi di colleghi, naturalmente quelli veri e che meritano stima.
Riprendendoci dal flashback è vero che a Milano non c’è il porto ma negli anni 70, quando poi ha aperto il suo studio, GMF mi ricordava che i anche i clienti italiani spaziavano in una bella forcella di personaggi. Si partiva dai gruppi di giovani legati alla subcultura musicale e non, passando per le forze dell’ordine, fino a borghesi ed ex carcerati.
Gian Maurizio ha inoltre confermato che pur perdendo qualche cliente rispettava sempre le sue regole come niente tatuaggi politici, razzisti, sulle mani, sul collo e sulla faccia; anche se in quell’epoca ricorda con piacere che il tatuaggio era di partenza visto come un fatto più discreto. Pochi erano affetti dall’esibizionismo di adesso.
Detto questo non bisogna concludere che GMF abbia una visione chiusa del tatuaggio, anzi è bello vederlo sorridere dell’ironia di certi tatuaggi, lui stesso ne ha uno eseguito dalla figlia con scritto “Fesso chi legge” che comunque descrive un momento loro, un emozione gioiosa ed ha la sua piccola storia.
Non ama le composizioni molto seriose o estremamente realistiche perché semplicemente per lui comunicano poco. Sicuramente i vecchi tatuaggi dei carcerati, dei marinai, sostanzialmente quelli più storici legati al viaggiare, a certi simbolismi o al proprio territorio li ritiene di maggiore forza espressiva e lo divertono.
Quella magia o disgrazia, in base ai punti di vista, oggi per forza di cosa non può più essere presente. Viviamo in tempi con ritmi e abitudini diverse che ci rendono meno avventurieri, questo comunque non significa che sia peggio; anzi alla domanda diretta se si fosse stancato del mondo del tatuaggio GMF ha risposto un secco “No”.
Ragazzi finché si diverte bisogna andare a conoscere questo pezzo di storia del tatuaggio italiano. Mi raccomando sempre con rispetto se non volete prendervi un pugno sul naso. Naturalmente si scherza.
Quello che però non è uno scherzo è la sua caparbietà nell’iniziare questa professione quando non era di moda, portando poi avanti uno studio di tatuaggi per quasi mezzo secolo. A quante persone si può riconoscere lo stesso merito?
Soprattutto entrando poi in questo negozietto, che ha una sua identità ancora originale e rimasta sotto certi aspetti fedele al passato, troverete un posto fatto di gente che non si da un tono tirandosela anche potendo. Noterete piuttosto tanta disponibilità e serietà che di questi tempi, dove tutti si sentono un po’ speciali, non è affatto scontato e poi diciamolo pure :
la normalità, e non credo solo a mio avviso, è ancora elegante oltre che essere estremamente piacevole.
Fare un tatuaggio rimane una cosa personale, avere tanto inchiostro sulla pelle non vuol dire automaticamente avere cultura del tatuaggio. Il Queequeg Tattoo Studio è un ottimo posto da dove iniziare a conoscere questo mondo. Potete farvi tatuare da persone competenti o semplicemente organizzarvi per vedere il piccolo museo allestito all’interno, curato poi dalla signora Luisa che è un pozzo di informazioni sull’argomento tatuaggi.
Tra l’altro proprio su quest’ultima, GMF mi ha raccontato che sua moglie benché abbia scritto libri e curato mostre sul tatuaggio non ha tatuaggi per scelta, escluso uno.
“Qualche anno fa ha voluto provarne l’esperienza e le sensazioni del tatuaggio ma senza inchiostro. Mi ha chiesto un dragone sulla schiena, così ho disegnato e poi ripassato solo a macchinetta il suo drago, “tatuandole” così la schiena.” Piccole storie di questa famiglia unica.
Ora però prima di passare alla storia sulla pelle di Gian Maurizio Fercioni, attraverso il racconto di un suo tatuaggio, posso dirvi la vera malattia del fondatore del Queequeg. Il titolo di questo paragrafo non era una schifosa esca. Gian Maurizio Fercioni è realmente malato ma della vita, del mare, del teatro, della sua famiglia, del vestire bene, del senso di onore e dell’avventura dei tempi passati. Non si può pretendere di conoscere una persona da un intervista ma sicuramente parlando con lui mi sono reso conto che il tatuaggio ha dato tanto a questo leone classe 1946. Predilige senza dubbio i tatuaggi con personalità e credo che i suoi preferiti, dalle risate percepite in alcuni racconti, siano quelli che racchiudano con senso ironico alcuni aspetti della vita; a patto che mantengano un legame con la propria storia personale ed abbiano un certo criterio di esecuzione grazie alla buona tecnica del tatuatore.
Non si parla di disegni perfetti ma evocativi.
Storia sulla pelle di Gian Maurizio Fercioni
Il tatuaggio che vedrete in dettaglio nelle foto presenti nella sottostante galleria si trova sul braccio sinistro dell’artigiano tatuatore di Brera Gian Maurizio Fercioni e raffigura un cane foo, tradotto poi dall’inglese come cane leone.
In Cina, dove sono nati, sono considerati leoni guardiani che venivano scolpiti nella pietra e poi situati davanti i palazzi o le tombe degli imperatori. Ora sono volgarmente posti anche davanti ristoranti e negozi cinesi. Questi leoni sono generalmente rappresentati stilizzati e in coppia formata da un maschio con il pianeta Terra sotto una zampa tra gli artigli e una femmina con un cucciolo.
Tornando al tatuaggio, Gian Maurizio Fercioni inizia prima a sbottonarsi l’asola della giacca e a seguire quella del polsino della camicia per tirare su entrambe le maniche sempre aiutato da Holly che esegue un risvolto di entrambe all’altezza del gomito. Il Fercioni inizialmente guarda il suo tatuaggio e poi con la mano destra si accarezza l’avambraccio, quasi come a togliere uno strato di polvere sopra un vecchio ricordo. Creare una connessione per sentire meglio cosa c’è sotto prima di raccontarlo.
E io che silenziosamente nella mia mente osservo, fotografo, archivio tutta la gestualità di questi piccoli gesti che mi portano sempre alla stessa conclusione : La poesia in certi momenti è semplicemente imposta.
Gian Maurizio inizia così a raccontare la sua storia sulla pelle:
“Mi trovavo ad Amsterdam e decisi di andare a trovare e farmi tatuare da Tattoo Peter ma quel giorno c’era troppa gente e lui stesso mi disse guarda vai più avanti in via Voorburgwal che c’è uno nuovo e sembra bravo. Io sono andato. Questo nuovo tatuatore che sembrava bravo era Hanky Panky.”
(Per chi non lo sapesse è il tatuatore olandese Henk Schiffmacher meglio noto con il nome d’arte Hanky Panky, proprio come il nome del cocktail inventato nei anni 20 dalla prima barlady Ada Colemanche a capo del tempio della miscelazione nell’American bar del Savoy Hotel di Londra. Tornando a Hanky è una vera istituzione nel mondo dei tatuaggi e non solo per i clienti famosi come Kate Moss, Anthony Kiedis dei Red Hot Chili Peppers e Kurt Kobain solo per citarne alcuni; si è dedicato nonostante il suo essere burbero a diffondere cultura del tatuaggio in tutta Europa nonché essere il fondatore e curatore attuale del Tattoo Museum di Amsterdam. – Anche lui è nella mia lunga lista).
“Hanky Panky inaugurava quel giorno il suo tattoo studio e anche lui era pieno di gente.
Hanky però mi vede, mi raggiunge per salutarmi e non solo : decide nonostante lo studio pieno di clientela e tutta la gente in fila di tatuarmi. Mentre parlavamo all’esterno dello studio, praticamente eravamo ancora in strada, tiro fuori dalla giacca il disegno che avevo portato come soggetto del tatuaggio e una folata di vento non mi fa mica volar via il foglio dalle mani.
Tra tutti i posti dove poteva andare finisce proprio nel canale di fronte la strada.
Hanky molto carinamente anche se era dipinto come un egocentrico dai modi rudi corse verso la sponda e con una barchetta che stava navigando fece in modo di far recuperare il disegno. Una volta dentro lo studio io comunque, visto che c’era molto “macello” di gente e non volevo prendergli altro tempo, gli dissi di concentrarsi sui clienti e io mi sarei fatto tatuare dall’allora suo assistente Tony Looman.
Non solo, vado diretto sulla postazione di Tony e gli chiedo se voleva tatuarmi.
Hanky mi sente si gira e dice : No, no tranquillo che ti tatuo io, quel disegno mi piace e lo faccio io.
Probabilmente gli piaceva molto il disegno e ci teneva a farlo lui. Quindi niente è così che ho avuto la fortuna di farmi tatuare da Hanky,
saltando anche tutta la fila di attesa e facendoci allo stesso tempo due risate.
Questo ed è uno dei tatuaggi a cui sono affezionato soprattutto per sua la storia, questo episodio con Hanky che recupera il mio disegno caduto nel canale e poi ci tiene ad eseguire lui il tatuaggio rimane un bel ricordo”.
Un ringraziamento speciale a Gian Marizio Fercioni e alla sua famiglia per avermi ospitato al Queequeg Tattoo Studio in Milano e che altro dire : La vita infondo si può anche raccontare attraverso tutti i segni che ci lascia addosso.
PS. La seconda storia sulla pelle del blog sarà di Olivia Fercioni, detta Holly, figlia e tatuatrice del Queequeg. Senza svelare nulla sul suo racconto, posso solo anticiparvi che se questa storia vi è piaciuta la sua sarà ancora più intima.


















